I primi lavori per la creazione dell’Arboretum Taurinense, conosciuto anche come Parco della Maddalena o Parco della Rimembranza risalgono al 1923.
La zona interessata dal primo intervento si trova sulla collina torinese, comprendeva all’epoca circa 30 ettari di terreno, interamente recintati, che scendendo dalla cima del Colle della Maddalena a quota 715 metri, (dove si trova una notevole statua bronzea “la Vittoria alata” alta 18,50 metri) occupa lo sperone meridionale della collina, con maggior estensione sul versante nord.
Il substrato geologico é costituito da arenarie terziarie e marne tipiche della collina torinese, con presenza di depositi fluviali e glaciali.
Il terreno presenta notevoli diversità; il versante meridionale é decisamente più arido, con maggior presenza di grossolano scheletro; nel versante nord, il suolo é più profondo e fresco ed é anche stato maggiormente interessato dalle operazioni agronomiche per gli impianti. Sono presenti alcune fontane perenni con acqua potabile di ottima qualità.
La vegetazione spontanea, che occupava l’intera superficie, era formata da ceduo di castagno, con presenza di Quercus (peduncolata e sessilis), pochi carpini e robinie. Il Comune di Torino, proprietario del terreno, intendeva creare un Parco della Rimembranza per commemorare i caduti della prima Guerra Mondiale, ricordando i soldati con una targa posta vicino ad ogni albero.
La direzione dei lavori venne affidata al Prof. Aldo Pavari, a cui é dovuta l’impronta di “orto botanico” e che dedicò una sistematica attenzione e ricerca alle essenze da introdurre.
Tra le conifere, vi erano splendidi gruppi di Chamaecyparis, in particolare nelle varietà della specie C. lawsoniana.
Trovai così splendide le Picea orientalis tanto che ne feci un boschetto in un terreno di mia proprietà. Le Pseudotsuga douglasi e i Cedrus avevano dato ottimi risultati.
Vi era un rigoglioso gruppetto di Pinus sabiniana (ora completamente scomparso). Avevo trovato così eccezionali i loro strobili che al pari della Picea orientalis ho voluto averne alcuni esemplari. Voglio anche ricordare i maestosi esemplari di Quercus spontanei.
La rimessa in sesto dell’Arboreto, dal punto di vista dell’inventario e della classificazione delle piante ancora esistenti, richiederebbe un grande impegno, sostenuto da una altrettanto grande passione, dovrebbe essere affrontato da diverse persone, ognuna delle quali potrebbe occuparsi anche di un solo genere di piante.
L’Associazione Ex Allievi della Scuola Giardinieri G. Ratti, che rappresento, potrebbe all’interno dei suoi soci, trovare delle disponibilità in merito.
Un altrettanto grosso contributo potrebbe arrivare dagli studenti della facoltà di agraria; stimolando e indirizzando i più motivati a lavorare in gruppo, concentrando l’attenzione, in questo caso, a singole sezioni, comprendendo anche un aggiornamento cartografico.
Il passo successivo potrebbe essere la cartellinatura dei vari gruppi di piante, ma a questo impegno anteporrei nuovi piantamenti per aumentare il numero delle specie oggi esistenti.
Sarebbe già un notevole risultato reintrodurre quelle perse per vari motivi nel corso del tempo.
Voglio ricordare che tra 20 o 30 anni, di tutto l’eventuale lavoro di cartellinatura, per lo scarso senso civico dei visitatori non resterà più niente, mentre le piante intro-
la quantità di ogni essenza messa a dimora e la data, dal quale risulta che nei primi anni di impianto vennero piantati un centinaio di generi e un grandissimo numero di specie, per un totale di 15.000 alberi.
A mio avviso, il modo scelto a suo tempo di concentrare le specie e le varietà appartenenti al medesimo genere all’interno di sezioni topografiche singole, rende oggi più difficoltoso la loro classificazione, complicata inoltre dalla grande mortalità avvenuta negli anni per cause diverse, a volte per la scelta di piante non adatte al clima, o per l’uso irrazionale di diserbanti lungo i viali, (in quegli anni non era ancora stato scoperto il glifosate).
Oltre all’interesse botanico-collezionistico per le diverse specie esistenti, che dovrebbe essere incrementato con nuovi piantamenti e con una attenta scelta delle nuove specie da introdurre, a distanza di oltre 70 anni dai primi impianti sarebbe senz’altro di grande importanza rilevare l’adattamento delle specie esotiche e la loro riuscita nelle varie esposizioni e sui differenti suoli.
I risultati di queste osservazioni potrebbero rivestire grande valenza scientifico-didattica e anche una utilità nelle scelte da fare nella progettazione di futuri parchi, sia pubblici che nei piantamenti privati.
La mia permanenza nel Parco per un breve periodo, nel 1970, aveva suscitato in me un interesse che ora, a distanza di 30 anni, con una maturità purtroppo anche anagrafica, mi porta a fare alcune considerazioni e proposte.
Già in quegli anni, avevo rilevato la diversa riuscita delle molte essenze introdotte, che voglio citare brevemente. Ricordo i maestosi gruppi di Quercus rubra e Q. palustris e la quasi assenza di Fagus, genere che avrebbe meritato ben altra diffusione.
dotte saranno, con un minimo di cura diventati alberi e il lavoro di schedatura riportato su cartografia resterà patrimonio di archivio, sempre disponibile.
Il lavoro di ‘inventario’, non dovrebbe essere limitato alla classificazione, ma comprendere anche brevi note sull’adattamento delle varie specie, accrescimento, situazione fitosanitaria, cause di mortalità ecc.
Nella scelta delle nuove specie da introdurre, suggerirei di potenziare moltissimo certi generi o famiglie, ad esempio Pinus, Acer, Quercus, in modo che l’Arboretum Taurinense possa presentarsi si come Orto Botanico, ma, oltre ad avere un “pò di tutto” disponga di collezioni, anche se di pochi generi, pressoché uniche.
Per esperienza personale, posso affermare che per ottenere i risultati suddetti, i costi sono sicuramente affrontabili e di molto inferiori a quanto può sembrare, con l’unica limitazione di impiegare negli impianti alberi di modeste dimensioni.
Sarebbe peraltro molto difficile procurarsi esemplari di grandi dimensioni delle specie rare, in quanto non vengono comunemente coltivate nei vivai commerciali. Nell’immediato, bisogna almeno fermare l’impoverimento dell’arboreto.
Quest’anno sono stati abbattuti gli ultimi due esemplari di Pinus flexilis, forse gli unici del Piemonte, sicuramente di Torino; uno era malato, ma vorrei tanto che le piante, quando non costituiscono un pericolo serio, venissero lasciate morire da sole; penso che un olmo come quello di Mergozzo a Torino sarebbe già stato “ucciso” da molto tempo. Per rendere l’idea della ricchezza delle essenze collocate nell’Arboreto Taurinense durante i primi anni di impianto, riporto l’elenco delle specie (tralasciando le varietà) del solo genere Pinus. I dati sono ripresi dal registro dei piantamenti eseguiti duranta gli anni dal 1925/60:
L’Arboretum Taurinense
di Renato Ronco
La denominazione Arboretum Taurinense nasce da una sua proposta.
Dopo la fervida fase iniziale, in cui venne creato tutto il sistema di viali e stradini (35 km) e avvennero i grandi disboscamenti e i piantamenti di essenze arboree, seguì un periodo di stasi durante la seconda guerra mondiale. I lavori ripresi nel dopoguerra, hanno subito successivamente un graduale e progressivo rallentamento, in cui ci si limitava a una superficiale manutenzione, senza incrementare nuovi piantamenti; ci sono stati anni in cui la cura di tutto il parco era affidata a soli tre operai, senza la dotazione di alcuna attrezzatura.
A distanza di tempo ho potuto osservare un grande impoverimento del Parco, dal punto di vista botanico, poiché numerose essenze importanti sono scomparse.
Negli ultimi anni, per iniziativa del Comune di Torino, il Parco ha notevolmente ampliato i suoi confini con l’acquisizione di nuovi terreni ma, in queste nuove sistemazioni, é stata trascurata completamente l’impronta di “arboreto”.
Tralasciando la grande importanza ricreativa, ritengo che il Parco della Maddalena costituisca un patrimonio di enorme ricchezza ed interesse dal punto di vista botanico, che si impoverisce ogni anno di più.
Sarebbe necessario ed auspicabile, come primo intervento, un ‘inventario’, operazione tutt’altro che facile, con la classificazione delle specie tuttora esistenti.
Per fortuna esiste ancora un vecchio registro con riportato