Un angolo dell’Arboretum Taurinense:
trenta ettari di verde con molte specie di grande interesse
Pare che i torinesi non sappiano di avere un parco di inestimabile valore
botanico. Non lo sa neanche il Comune, che ne è proprietario e lo
gestisce onorevolmente, ma come un qualsiasi parco ricreativo. Non lo sanno
le varie facoltà dell’Università, che potrebbero trarne
insegnamenti e conoscenza.
I primi lavori per la creazione dell’Arboretum Taurinense, più
noto come Parco della Maddalena o Parco della Rimembranza, risalgono al
1923. La zona del primo intervento comprendeva all’epoca circa 30
ettari di terreno interamente recintati intorno alla cima del Colle della
Maddalena a quota 715 metri (dove si trova la “Vittoria alata”,
alta 18,50 metri),con maggior estensione sul versante nord. La vegetazione
spontanea era formata da ceduo di castagno, con presenza di Quercus (peduncolata
e sessilis, specie nel versante a sud), pochi carpini e robinie. La città
di Torino intendeva creare un Parco della Rimembranza per i caduti della
prima Guerra Mondiale ricordando i soldati con una targa posta vicino ad
ogni albero. La direzione dei lavori fu affidata ad Aldo Pavari, a cui é
dovuta l’impronta di «orto botanico» e che dedicò
una sistematica attenzione e ricerca alle essenze da introdurre.
La denominazione Arboretum Taurinense nasce da una sua proposta. Dopo la fervida fase iniziale, in cui venne creato tutto il sistema di viali e sentieri (35 chilometri) e avvennero i grandi disboscamenti e i piantamenti di essenze arboree, seguì un periodo di stasi durante e dopo la seconda guerra mondiale. Negli ultimi anni, per iniziativa del Comune, il Parco ha ampliato i suoi confini con l’acquisizione di nuovi terreni ma in queste nuove sistemazioni si é trascurata completamente l’impronta di «arboreto». Tralasciando la grande importanza ricreativa, il Parco della Maddalena costituisce un patrimonio di enorme ricchezza ed interesse dal punto di vista botanico, ma nel tempo si è impoverito. Numerose essenze importanti sono scomparse. Esiste ancora un vecchio registro con riportata la quantità e la data di ogni albero messo a dimora: risulta che nei primi anni vennero piantati un centinaio di generi e un grandissimo numero di specie, per un totale di 15.000 alberi. Solo per rendere l'idea della ricchezza del parco, ho rilevato dal registro che nei primi anni furono introdotte ben 38 specie diverse di Pinus. La prima cosa da fare sarebbe l’inventario e la classificazione delle piante ancora esistenti. Questo lavoro richiederebbe un grande impegno, sostenuto da una altrettanto grande professionalità e passione. Ci sarà chi dirà, come si usa in questi casi, che mancano i fondi. Non è così. Un gruppo di persone mosse dalla passione e dall’amore per il Parco è da tempo pronto a compiere gratuitamente questo lavoro, manca solo qualcuno che faccia da catalizzatore dell’iniziativa. Un'altrettanto contributo potrebbe arrivare dagli studenti della facoltà di Agraria, stimolando e indirizzando i più motivati a lavorare in gruppo, concentrando l’attenzione, in questo caso, su singole sezioni e comprendendo anche l’aggiornamento cartografico. Il lavoro di inventario non dovrebbe essere limitato alla classificazione ma comprendere anche brevi note sull’adattamento delle varie specie, accrescimento, situazione fitosanitaria, cause di mortalità. Bisogna poi introdurre nuove specie; suggerirei di potenziare certi generi o famiglie, ad esempio Pinus, Aceri, Quercus, in modo che l’Arboretum Taurinense possa sì presentarsi come Orto Botanico, ma, oltre ad avere un po’ di tutto, possa vantare collezioni pressoché uniche anche se di pochi generi. Uscendo dai rigidi sistemi di appalto regolati dalle leggi sui lavori pubblici, i costi per affrontare i nuovi piantamenti sono sicuramente affrontabili e di molto inferiori a quanto si può immaginare, con l’unica limitazione di utilizzare alberi di modeste dimensioni. Sarebbe peraltro molto difficile procurarsi esemplari di grandi dimensioni delle specie rare, in quanto non vengono comunemente coltivate nei vivai commerciali. Nell’immediato, bisogna almeno fermare l’impoverimento dell’arboreto. Quest'anno sono stati abbattuti gli ultimi due esemplari di Pinus flexilis, forse gli unici del Piemonte, sicuramente di Torino. Sarebbe bene tenere il registro degli alberi abbattuti con la motivazione dell’abbattimento e qualche fotografia; nel corso degli anni sono letteralmente sparite centinaia di piante rare, ma anche questa semplice operazione d’archivio può diventare difficile se non si conoscono i nomi di tutte le piante del parco.
Renato Ronco
tSt tuttoScienzetecnologia 25 maggio 2005
IN PARTE LA VARIETA’ DI SPECIE ORIGINARIA E’ COMPROMESSA:
IL RILANCIO DOVREBBE PARTIRE DA UN CENSIMENTO